In molte persone si riscontrano comportamenti aggressivi, che oltrepassano i limiti di ciò che si considera essere una normale collera passeggera. Si notano, con sempre maggiore frequenza, eccessi di violenza verbale e fisica, per lo più scaturenti da ragioni banali. Basta guardarsi intorno per capire che c’è qualcosa che non va.
Una manovra poco ortodossa da parte di un’automobilista è in grado di provocare reazioni incontrollate da parte di coloro che si sentono danneggiati. Per non parlare dello sport praticato a livello amatoriale. Spesso aleggiano tensioni pari a quelle che si percepirebbero nelle grandi competizioni professionistiche.
Ma questi sono solo alcuni esempi di una realtà ben più complessa. Siamo sempre stati così oppure viviamo in un periodo storico dove la nostra aggressività è aumentata vertiginosamente?
Le società antiche erano certamente più coese ed armoniose. Poiché conducevano un’esistenza fondata sull’indissolubilità del concetto di clan o di comunità d’appartenenza. Il singolo individuo veniva assorbito in un organismo, in una società che viveva secondo regole e norme di convivenza ben precise, per lo più manifestate sotto forma di tabù, riti e consuetudini. Per cui non vi erano particolari squilibri nei rapporti umani. Tuttavia, c’erano poche possibilità per l’individuo di esprimere tutto il proprio potenziale conoscitivo. Con l’avvento della società moderna, che possiamo datare approssimativamente intorno alla fine del ‘700, l’individuo si è gradualmente emancipato dalla comunità di appartenenza conquistando nuovi spazi di espressione e di autonomia.
Questo percorso ha condotto l’uomo fino ad oggi. Dove però si vive l’eccesso contrario rispetto alle condizioni di esistenza che c’erano in epoca arcaica. Ora vige l’individualismo esasperato. Ognuno è nemico dell’altro. Non esistono più valori condivisi. In quest’humus culturale fermentano sentimenti di aggressività e competizione.
Se si osserva il microcosmo italiano si noterà come si stia attraversando una seria crisi antropologica. A tal proposito è lampante il risultato di un recente studio compiuto dal Censis, il quale osserva che “siamo una società in cui sono sempre più deboli i riferimenti valoriali e gli ideali comuni, in cui è più fragile la consistenza dei legami e delle relazioni sociali. In questa indeterminatezza diffusa crescono comportamenti spiegabili come l’effetto di una pervasiva sregolazione delle pulsioni, risultato della perdita di molti dei riferimenti normativi che fanno da guida ai comportamenti. L’aggressività aumenta così come le ingiurie e le percosse. Il consumo di antidepressivi è andato alle stelle”.
Christian Caliandro aveva scritto, in un articolo pubblicato qualche mese fa su “alfabeta2”, che “i sentimenti negativi di tutti vengono alimentati scientificamente, nutriti e sviluppati attraverso un pasto quotidiano di cronaca nera e di parossismi mentali. Perché l’aspetto più preoccupante, forse, di tutta la questione è che questa aggressività, chiaramente un prodotto della frustrazione e della distanza percepita dal singolo tra i suoi desideri (più o meno legittimi, più o meno nobili….) e la realtà delle condizioni quotidiane, non si traduce affatto, almeno per il momento, in sacrosanta rivendicazione dei propri diritti. No. Si consuma in una sequela di piccole, misere ripicche giornaliere; si traduce nella contumelia, nell’insulto e nell’umiliazione dell’altro, cela il disprezzo di tutte le ragioni che non siano le proprie, e la concentrazione esclusiva su un io che si concepisce e si riconosce soltanto nell’autorappresentazione ossessiva e nella rimozione autistica del mondo”.
Se proprio si deve dare ingresso alle peggiori consuetudini appartenenti alla società anglosassone perché non prenderne anche i lati buoni, “take it easy” recitava una canzone di un gruppo statunitense, “prendila con leggerezza”! Non tutto ciò che c’è fuori è guerra e competizione.